6/7 maggio domanda 1 e 2 teoria rispondi qui

Leggendo le slide di Capucci e riflettendo sul rapporto uomo-tecnologia, mi sono venuti in mente alcuni passi di un libro di Galimberti, a cui autore più volte è stato fatto riferimento, e sulle sue considerazioni rispetto alla razionalità della tecnica e l’implosione del senso, da me condivise.
Spesso ,visionando le slide, l’uomo è stato descritto come un essere organicamente manchevole, le cui inadeguatezze biologiche sono compensate dalla stessa tecnologia.
Nel libro di Galimberti, la tecnica sembra essere entrata in profondo conflitto con il primato che l’uomo aveva in passato assegnato a sé stesso, vorrei collegare quest’ultima affermazione alla descrizione riportata poco fa dell’uomo, secondo una mia libera interpretazione; l’uomo, in un primo momento, con l’avanzare della tecnica, ha pensato di poter governare e mettere ordine nel caos del mondo circostante, ponendo sé stesso e la sue capacità al centro di quest’ultimo, pensando di poter avere una padronanza assoluta sull’avanzamento della prima. Tuttavia con il passare del tempo e in quello recente, la tecnica è riuscita a prendere il sopravvento sull’uomo, rivelandosi uno strumento che quest’ultimo difficilmente riesce a gestire al meglio nelle proprie mani. Come se non bastasse la tecnologia ha preteso di poter sopperire a tutte quelle mancanze organiche, diventando protagonista indiscussa della scena, sul cui sfondo è stato collocato l’uomo.
Il corpo è diventato così obsoleto, antiquato, perché nell’assuefazione con cui utilizziamo strumenti e servizi che riducono lo spazio, velocizzano il tempo, leniscono il dolore, rischiamo di non chiederci se il nostro modo di essere uomini non sia troppo antico per abitare l’età della tecnica, che la nostra mente ha creato, obbligandoci a entrarvi e a prendervi parte. A questo proposito, vorrei riportare una frase che mi ha colpito durante la lettura delle slide sulle tecnologie invasive, dove lo stesso Galimberti sostiene che in questo inserimento rapido nell’ambiente-tecnica portiamo in noi i tratti dell’uomo pre-tecnologico, che agiva in vista di scopi inscritti in un orizzonte di senso,con un corredo di sentimenti in cui si riconosceva. L’età della tecnica ha abolito questo scenario umanistico e le domande di senso restano prive di risposta, non perché la tecnica non è ancora abbastanza perfezionata, ma perché non rientra fra le sue competenze trovar risposte a simili domande. La tecnica, infatti, non tende a uno scopo, non svela la verità: la tecnica funziona. E siccome il suo funzionamento diventa planetario, finiscono sullo sfondo i concetti di: individuo, identità, libertà, verità, senso, scopo e tanti altri di cui ci si nutriva nell’età pre-tecnologica e che nell’età della tecnica dovranno essere rifondati dalle radici, per adeguarsi ad una nuova epoca. In poche parole, la tecnologia perfezionandosi, non promuove altro senso se non il proprio potenziamento afinalizzato.
In riferimento alla domanda per la quale la tecnologia potenzia o atrofizza le capacità dell’uomo, credo che agisca in entrambe le direzioni. Condivido l’affermazione letta sulle slide, per la quale la tecnologia non completa l’uomo, ma potenzia le sue capacità, allargando il campo del suo operare.
Tuttavia si deve prestare attenzione al cattivo utilizzo di quest’ultima che può atrofizzare e ridurre le nostre capacità sensoriali, su cui si costruiscono le relazioni umane.
Vorrei concludere questo commento, facendo riferimento ad alcune parole che hanno attirato la mia attenzione visionando le ultime slide: solo utilizzando i nostri sensi in maniera profonda, completata e soprattutto consapevole possiamo far emergere e ricostruire la vastità delle relazioni che ci fanno interagire con il mondo, poiché occhi, pelle, lingua, orecchie sono di fatto porte di accesso tramite cui il nostro corpo riceve stimoli e nutrimento dall’«altruità». La tecnologia stà gradualmente assorbendo tutta la potenza intellettuale dell’uomo, ma non per attuare le potenzialità sentimentali, pulsionali ed emotive per l’uomo, bensì per nutrire la cultura oggettivata delle cose rispetto alla cultura soggettiva degli individui.